Cessione di farmacia: anche la rendita vitalizia genera plusvalenza

Non viola il divieto di doppia imposizione e genera una plusvalenza tassabile, calcolata attraverso dati attuariali e statistici, la cessione di una farmacia con riconoscimento di una rendita vitalizia in capo al cedente.
Con la recente sentenza n. 5886 dello scorso 8 marzo 2013 la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sui controversi effetti fiscali che originano da una cessione di farmacia che abbia come controprestazione il riconoscimento in capo al cedente di una rendita vitalizia. La giurisprudenza di merito (Commissioni tributarie provinciali e regionali) ha spesso ritenuto che qualora il corrispettivo della cessione sia rappresentato da una rendita vitalizia non possa sorgere una plusvalenza tassabile in capo al cedente l’azienda. L’aleatorietà di un tale corrispettivo impedirebbe, infatti, la quantificazione di uno dei due “poli” logici ed essenziali da cui scaturisce il valore della plusvalenza (il controvalore del bene all’atto della cessione), la quale rimarrebbe sostanzialmente illiquida. Inoltre, sempre secondo tale orientamento giurisprudenziale, l’eventuale tassazione della plusvalenza violerebbe il divieto di doppia imposizione, essendo la rendita vitalizia assimilata (e come tale tassata) ad un reddito da lavoro dipendente. La Suprema Corte ha cassato tale orientamento, decidendo per la tassabilità della plusvalenza ed accogliendo l’interpretazione antielusiva più favorevole per l’Amministrazione finanziaria. Nello specifico, la Corte ha superato l’astratta problematica legata all’aleatorietà della rendita ritenendo possibile quantificare la plusvalenza attraverso una valutazione teorica della rendita stessa sulla base di calcoli attuariali e statistici. La stessa Corte ha poi negato che la tassazione della plusvalenza possa generare automaticamente una violazione del divieto di doppia imposizione. Secondo i Giudici di legittimità tale violazione rimane meramente eventuale, verificandosi solo se e quando l’Amministrazione richieda effettivamente il pagamento delle imposte sulla rendita (quale reddito assimilato da lavoro dipendente). Essa, inoltre, sorgerebbe comunque in un momento successivo e per un’imposta diversa rispetto a quella dovuta per la plusvalenza generata dalla cessione. La pronuncia citata, seppure non scevra da incertezze su un piano di ricostruzione degli istituti giuridici, prosegue idealmente nel solco tracciato da altre due precedenti sentenze (Cassazione civile, 1° agosto 2012, n. 13823, nonché Cassazione civile, Sezione V, 11 maggio 2007, n. 10801) con cui la Suprema Corte aveva introdotto i principi oggi meglio precisati. L’orientamento di legittimità sembra dunque consolidarsi, a scapito del diverso indirizzo delle Corti di merito e dei contenziosi in essere instaurati dai contribuenti. Di tale rafforzamento dovrà inoltre inevitabilmente tenersi conto anche nelle future valutazioni di opportunità e convenienza economica e fiscale di tale specifica modalità di determinazione del corrispettivo della cessione.
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Nuova possibilità per i soci di farmacie: l’affrancamento della quota sociale

Con la L. n. 228/2012 si riaprono nuovamente i termini per la rivalutazione del valore fiscale delle partecipazioni societarie possedute al 1 gennaio 2013 al fine di azzerare la plusvalenza in caso di cessione della quota sociale a fronte di un’imposta sostitutiva del 2% o 4%.
Con la Legge di Stabilità 2013 (L. 228 del 24/12/2012) torna la possibilità di rideterminare il costo o valore di acquisto delle partecipazioni  sociali possedute all’01/01/2013 da persone fisiche non in regime di impresa. Ciò significa che un socio ha la possibilità di allineare il valore della propria quota al valore di mercato annullando di fatto la plusvalenza in caso di cessione. Per ottenere l’affrancamento occorre sia far redigere idonea perizia giurata di stima da un professionista abilitato (dottori commercialisti, ragionieri, revisori legali) sia versare l’imposta sostitutiva entro il 30/06/2013. Sulla base della nuova disposizione si potrà affrancare la partecipazione versando il:
  • 4% del valore peritale della partecipazione qualificata (nel caso tipico se pari o superiore il 25% del capitale sociale)
  • 2% del valore peritale della partecipazione non qualificata (nel caso tipico se inferiore al 25% del capitale sociale).
Pagherà in ogni caso il 4% il socio la cui quota proviene dal conferimento della farmacia della quale in precedenza era titolare. È possibile versare l’imposta in un’unica soluzione oppure in tre rate annuali. Sulle rate successive sono dovuti gli interessi nella misura del 3% annuo. Ai fini della validità dell’affrancamento non è obbligatorio cedere la partecipazione dopo aver provveduto alla redazione della perizia ed al versamento dell’imposta. Il nuovo valore rideterminato avrà efficacia sia che la cessione avvenga prima del 30/06/2013 sia che avvenga successivamente tale termine. L’operazione risulta chiaramente conveniente per il socio che sarà tenuto a corrispondere l’imposta sostitutiva calcolata sul valore risultante dalla perizia in luogo delle più onerose imposte sui redditi ad aliquota ordinaria dovute sulla plusvalenza derivante dalla cessione della quota (Irpef+Addizionali). Infine particolare attenzione occorre prestare all’operazione di alienazione della quota sociale. L’affrancamento del valore ha validità solamente se la quota viene compravenduta dai soci superstiti o da terzi. In caso di recesso del socio (ossia quando è la società che liquida il socio) il valore rideterminato della quota non può ritenersi valido in quanto le somme erogate costituiscono per il socio “utile” tassabile.

Concorso straordinario:fiscalità diretta e nuove sedi farmaceutiche

Con l’apertura del Concorso straordinario occorre porre qualche riflessione sulle opportunità e sulle problematiche (anche di natura fiscale) che un’eventuale assegnazione comporta.
Chi aspira alla titolarità di nuove sedi farmaceutiche partecipando ai concorsi straordinari vive un periodo di speranza, seppur con sentimenti di incertezza ed apprensione per il futuro. È sufficiente informarsi per rendersi conto di quanti problemi e questioni irrisolte vi siano in merito ai concorsi. È altrettanto evidente che troveranno soddisfazione le aspettative di molti farmacisti. Benché l’attenzione dei candidati sia perlopiù rivolta al punteggio, da consulenti ci preoccupiamo di suggerire un’attenta ed ampia riflessione su tutto ciò che succederà una volta stilate le graduatorie definitive. La valutazione del possesso dei requisiti per la partecipazione, la possibilità e l’opportunità di partecipare al concorso in associazione con altri definendo regole di base, la valutazione delle possibili sedi alla luce di aspettative e necessità economiche, sono solo una minima parte dei temi che occorre affrontare per limitare il rischio di veder trasformata una buona opportunità in un problema. La crisi economica non ha risparmiato la farmacia e un settore in fase di radicale cambiamento: la sfida che attende “vecchi” e “nuovi” titolari si annuncia epocale. Lo scopo delle poche righe che seguono è di sensibilizzare i candidati ad una prima riflessione sulla fiscalità della farmacia, in particolare sulle imposte dirette che colpiscono la ricchezza prodotta dal contribuente-imprenditore-farmacista. Le farmacie private, imprese individuali e società di persone, sono interessate dall’Irpef (imposta sul reddito delle persone fisiche) con le relative addizionali e dall’Irap (imposta regionale sulle attività produttive). L’Irpef, disciplinata dal Testo Unico delle Imposte sui Redditi, DPR 917/86, si applica assoggettando ad aliquota progressiva l’imponibile, cioè la somma di tutti i redditi prodotti nell’anno dal contribuente – ivi compresi quelli della farmacia – diminuiti degli oneri deducibili (es. contributo soggettivo ENPAF).  Il reddito della farmacia, da indicare nella dichiarazione dei redditi del titolare, è determinato apportando all’utile risultante dal bilancio d’esercizio le variazioni previste dal DPR 917/86.  Se la farmacia è gestita in forma societaria o di impresa familiare, il soggetto passivo dell’Irpef non è la società, ma ciascun socio, pro quota, per trasparenza. È fondamentale tener presente che l’utile risultante dal bilancio della farmacia è lordo dell’Irpef e dei contributi soggettivi ENPAF in quanto entrambi hanno carattere personale. L’Irpef si paga indipendentemente dalla percezione dell’utile. Capiterà, ad esempio, di dover destinare parte dell’utile al rimborso del finanziamento ottenuto per l’impianto iniziale dell’attività. Non si confonda dunque l’utile di bilancio con la ricchezza spendibile: sarebbe un grave errore. L’Irap è disciplinata dal d.lgs. 446/97; l’imposta si determina in misura proporzionale – con un procedimento complesso e ricco d’eccezioni – ed ha come base imponibile il valore della produzione netto, aumentato di alcuni costi (primo fra tutti il costo del personale).  Se la farmacia è gestita in forma societaria l’Irap è dovuta dalla società e non dai soci. L’incidenza delle imposte dirette è molto variabile, influenzata dal risultato economico e, nel caso dell’Irpef, dall’esistenza di altri redditi, oneri deducibili e detraibili in capo al singolo contribuente. Attenzione alle scadenze e al meccanismo dei saldi e degli acconti: se nel primo anno di attività non si pagheranno imposte, è probabile che nell’anno successivo si debbano pagare tutte quelle dell’anno passato oltre a considerevoli acconti sulle imposte dell’anno in corso. In un caso simile occorre la disponibilità di un’adeguata provvista di denaro. Quante tasse si dovranno pagare? Mai troppo poche, spesso troppe. La domanda potrà trovare una risposta solo con l’aiuto del consulente di fiducia. Il tema è fondamentale e, per quanto complesso, deve essere affrontato il prima possibile in sede di pianificazione.
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